Le Poesie di Girolamo Comi
Proponiamo di seguito, a grande richiesta, alcuni dei testi delle poesie di Girolamo Comi, il poeta di Lucugnano. Per chi fosse interessato rimandiamo alle note biografiche del personaggio, invitando a leggere l’articolo scritto da Francesco Accogli: Girolamo Comi, il poeta di “Spirito d’Armonia” e “Canto per Eva”.
CANTICO DEL SUOLO
Sgretolìo d’arie mineralizzate
nell’immobile impeto che arma
la mia zolla di un’ansia antica e calma,
perché solare e tutta vellutata
d’inviolabile verginità — canti
in alberi, in parola e in prati infanti
la radice che mi è stata donata…
Nel mio stare, rimuovermi e spaccarmi
in memorie di scheletri e in volumi
di letargici umori e buio d’occhi,
io mi ripeto in spirito ed in carni
di forze caste ed intensi barlumi
di sapori di cielo ininterrotti.
Membra di luce spente in sordi suoni
di magnetici passi — ed in figure
di miti, di voleri e d’abbandoni,
pesano sulle inerzie vigili ed oscure
dei miei corpi gremiti di stagioni…
E la mia grezza purità si compie
— fra climi inquieti e tra fami mute —
in selve di continua salute
e in spaziosità di tombe e d’ombre.
Saturo di cascami d’elementi,
mi seleziono in aridità d’aspri
strati d’attesa — e fecondato d’astri
suscito nelle lave e nei fermenti
delle mie moli e dei miei giacimenti,
respiri di diaspri e d’alabastri.
E so volere e alimentare la potenza
che langue nel marciume e vibra nei basalti
del mio asse tutt’ossa e tutto smalti
d’erbosi succhi e di sonora essenza.
Solarità del mio quarzo — salive
dei miei fossili sali — ère boschive
dei miei catrami, dei miei crolli bruschi
in falde di miniere velate di muschi…
tutte vi spremo ridandorvi il meglio
d’ogni mio sonno e d’ogni mio risveglio…
Fibre dorate di respiri — e linfe
d’idee, di dèi, d’animali e di ninfe
si son rifatte morbide strutture
di magici equilibri — o sono steli
— nell’eco cava delle mie fratture —
di risonanze sottili di cieli…
Coi miei blocchi di vertebre montani
e con le mie epidermidi sative
combaciano tenacie votive
di ritorni di soli e di fogliami:
e ogni consumo di faune e di flore
che mi solca e mi colma — m’affratella
alla natività d’una zolla gemella
che si risolve in pollini d’aurore.
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CANTICO DEL TEMPO E DEL SEME (1929-1930)
Forze che vela un sonno, risalite
alla gemmea vertigine del seme
mattutino che palpita d’estreme
verginità di flore seppellite,
perché la coscienza si riveli
armata d’una giovane ed antica
continuità di sbocciati cieli
dentro le pause d’ogni mia fatica,
e perché vibri nell’ossame stesso
— ridiventato sedimento denso —
il fosforo inesausto d’ogni senso
e la memoria cosmica del sesso.
Fulgori chiusi in te — non mai svelati
se non come barlume ed apparenza
d’imponderabili aliti d’essenza
gelosi del mistero in cui son nati —
cantano nello sciame dei silenzi
l’evento dello spirito disperso
in vegetali vampe d’universo
e nel nativo gemito dei sensi.
Ma una indistruttibile aura di salute
nella tenacia del respiro scande
gli intervalli celesti e le volute
del mistero racchiuso nel tuo stesso sangue.
Dalle radici è luce la figura
del nascere e del crescere, ed è ombra
solare ogni sua pausa che cattura
la densità del fiore e della tomba.
E schiavo graziato tu permani
di moli e selve di respiri estremi
in cui l’avvento tenace dei semi
consacra il succo degli steli umani.
Incluso nella vampa originaria
d’una sintesi che tu stesso crei,
desumi dalla linfa degli dei
la fonte d’ogni cantico dell’aria
e lo spirito denso del mistero
che governa la carne ed il pensiero.
Essenza d’ogni mondo
in me sale e si sfalda,
si riproduce in alba
di fulgore più fondo;
affluisce in volere
di consumi fatali:
impeti d’animali
e sonni di miniere.
Forza bruta diventa
velari di sottile
vampa primaverile
e ridà clima e membra
di luce unica a tutti
i corpi ricostrutti.
Si disegna uno scheletro votivo
nella potenza materna di tutto,
e si propaga in sapore di frutto
nella figura d’ogni essere vivo,
Ad uno ad uno ogni mito riemerge
consumato ed intatto: si riallaccia
all’entità di un gesto o d’una faccia
obliata o sepolta… E dentro l’erbe
ultime nate una forza adorabile
vige e s’estende, — patria e dimora
di spirito di grazia che raccoglie
il misterioso avvento d’una flora
universale. — Ed è sangue di spoglie
ridiventato semenza d’aurora.
Il tempo non passa: traspare
In inni d’eterna semenza
nei corpi e nell’iride densa
d’ogni stagione solare;
fa le tue membra raggianti
d’un impulso di luce incisivo
che scolpisce e riassume i suoi canti
nelle albe del verbo nativo.
Agli orli di tutti i paesi
la sua torrenzialità scioglie
lo spazio del suolo, le zolle
in sonori orizzonti turchesi,
ed irrompe in fulgori dirotti
nella tenebra dell’elemento
per sfrangiarne il segreto argento
in corolle di giorni e di notti.
La gioventù di noi in noi permane
al di là d’ogni mito e d’ogni effigie
se la marea del tempo celestiale
nell’organicità del sole vige
oltre lo sgretolio d’ogni carname.
Chiunque rivuole se riconcepito
indenne dalla schiavitù dell’ère
e brulica di linfa che risale
al tronco di virtuali primavere
nella selva di tutto rifiorito.
E dai vertici fino alle propaggini
della semenza e d’ogni sua figura
vibrano mattutine le compagini
di un’ansia sempre antica e già futura.
Questo silenzio è luce virtuale,.
L’ansia di chiunque, inclusa in lui, s’adegua
all’unità di tutto e ad ogni tregua
del temporale e dell’universale;
è canto sordo che ricrea e disgrega
blocchi d’eternità, generazioni
di simboli, di sessi, d’idiomi,
architetture e vetustà di pietra.
Nel groviglio di me — silenzio! — innesti
la gemma delle notti, i florei cespi
d’invisibili crescite, ridoni
alla solennità del mio dormire
un volume stellare d’abbandoni
velato di memoria d’avvenire.
Oh fiori, radiosa pazienza
del nostro stesso respiro, echeggiate
nel fruttifero sangue dell’estate
d’un solare consumo di semenza
per ridare al pensiero e all’elemento
l’inviolata salute del tempo…
Siate l’azzurro diviso e indiviso
dei succhi immemorabili viventi
nella rugiada arborea dei venti
e nella castità elementare
dell’universo tutto orlato e intriso
di flore d’astri e di zolle di mare…
Vivono i cieli del riflesso denso
dell’età consumate, dilatati
dall’ebrietà dei corpi e rinsanguati
dal respiro del verbo e del silenzio.
Ed in ogni astro è il peso vivo, il sale
dello spirito che vibra o che tace
ispirato dall’ausilio tenace
dell’acqua, della zolla, della brace
e dall’impeto del seme animale.
Ardente scambio fra spirito e sesso,
fra tombe e sole, fra notti ed aurore
intrìde e colma d’un doppio riflesso
d’eterno, l’ansia del seme e del fiore.
Il cielo ha una veemenza così netta
di luce inesauribile, che spossa
ogni potenza — pure se perfetta —
fino a fiaccarne la figura e l’ossa.
L’azzurro è si continuo che stanca
anche l’erbe plasmato dal suo fiato,
per cui ogni pensiero è inadeguato
a rinsanguarsi dell’alta sua vampa.
In te canti — se può — il seme casto
chiuso nella fragranza originaria
della radice, verso cui converge
in veli di sottili linfe, l’aria
lievitata da sempre d’un impasto
d’impeti d’astri e di rugiada d’erbe.
Nell’albero velato di generazioni
d’inni d’effimere stagioni
circola una fragranza di tempo inviolato
che satura le pause del tuo fiato
d’una coscienza di perennità.
Se ridiscendi verso le radici
ecco la pazienza duttile ed intatta
d’una catena di germogli fatta
di sorde tempre di solarità.
E l’albero si dona aereo e sotterraneo
— virtù corale d’indiviso polline —
all’ansia dello spazio che ne accoglie
il tronco immediato e l’umore lontano.
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SPIRITO D’ARMONIA (1939-1952)
PAGANESIMO DI ADAMO
1
…ho fame ancora di cose terrestri,
di oscuri umori di vita, di forme
tanto più dolci quanto più vi dorme la morte…
…(paesaggi che il mio fiato ha fatto densi
di consistenze quasi umane, adoro
con la malinconia di tutti i sensi
il vostro autunnale alito d’oro…)
Ho desiderio ancora
di stagioni caduche ove si spegne
la bellezza goduta, la memoria
di un’età consumata e di ore pregne
della malinconia della mia gloria…
So della morte… Ma la prepotenza
del creato mi assedia ed io deliro
vinto dal sangue e dal cupo respiro
della mia carne ch’è concupiscenza:
e la tentazione mi conduce
a non volere, a non volere più
la celeste ricchezza della luce
di cui l’anima seppe la virtù.
Se dal rimorso un singhiozzo non sale
io ricadrò, ricadrò soggiogato
dalla fatalità del mio peccato
nella rombante lussuria del Male
per decrescer con te, Terra che sei
aperta come un fiore alla carezza
di noi Uomini — tristi semidei
emersi da un’ebbrezza
effimera ma forte —
e destinati a scoprir nella Morte
la voluttà, l’armonia, la bellezza…
2
Più che l’amore il male, o malattia —
m’insidia il sangue e l’anima mi oscura
sì che a ogni passo saggio la natura
del mio peccato in seno all’armonia.
Benché conosca la via, la magia
della Tua grazia ch’è senza misura
io mi consumo nella poesia
e del creato e della creatura.
La forza gemmea della terra trema
nella carnalità di me che ingordo
dei frutti deIl’effimero ne morde
la tessitura tenera —
e mi rituffo ebbro e inappagato
nella notte del mio sangue malato.
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SPIRITO D’ARMONIA (1939-1952)
SOGNO
Acceso d’una, purezza a venire
sentirmi tutto d’Angeli coperto
e nella penitenza del deserto
la Ragione di Dio veder fiorire.
La mia remota ossessione: guarire
del male e del peccato che ho sofferto
e nella morte che devo morire
splerider dell’immortalità che cerco.
Dalla terrestrità che mi devasta
succhiare il soffìo dell’aurora prima
fino a spogliarmi della carne guasta,
sì che il fiore dello spirito esprima
la luminosità ch’è custodita
nel fiato e nella fiamma della vita.
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SPIRITO D’ARMONIA (1939-1952)
CANTO DELL’ESTATE
Di questo consumo odoroso
di tempo ricco e sonoro
mi resta una fulgida traccia
d’ebbrezza sopra la faccia
e dentro il sangue ansioso
un fitto ronzio d’arie d’oro.
Paesaggi che lo zaflìro
violento dei cieli rendeva
saturi di tutto il respiro
del paradiso di Eva,
con gli occhi ho bevuto il sapore
dei vostri giardini in fiore.
È come se fossi stato
disteso profondamente
in grembo a una patria potente
dal corpo intriso e dorato
di maturazioni solari
gremite di squilli di mari.
Estate, intensa potenza
di tutta una fiamma somma
che mi accerchia rni nutre e colma
di pienezza e di conoscenza,
in te arde la figura
— oltre le efñmere età —
della bellezza che dura
— cantico dell’eternità.
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SPIRITO D’ARMONIA (1939-1952)
CANTO DELLA VITA
Calma ricchezza del Creato in fiore,
orchestrazione somma
di fulgidi respiri che incolonna
una violenta volontà d’amore:
Albero che una linfa illimitata
incorona di gioventù perfetta,
tu nutri il raggio della mia giornata
col cielo acceso sopra la tua vetta;
e tutto quel che sono e che ricordo
e pienezza remota e coscienza
del ritmo della luce da cui sgorgo
con l’ansia di custodirne l’essenza.
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SPIRITO D’ARMONIA (1939-1952)
PADRE…
Padre, l’eredità di un mondo
in fiore io porto in me per quel volere
d’armonia sacra che dentro il mio tronco
hai posto e di cui ardono le sfere:
così che nello stesso corpo intriso
di colpa antica e di morte fatale
matura una preghiera ove ravviso
la mia natività spirituale.
E l’anima, remota abitatrice
di me, in me si risolleva
— fiore felice
destato dalla Tua grazia che alleva
segretamente la nuova radice
dell’immortalità d’Adamo e d’Eva.
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CANTO PER EVA
Creatura per cui ardo e m’abbandono
come al richiamo della Luce-madre,
più che gioia da consumare, cerco
nella tua stessa carne il segno e il dono
della fiamma nativa che riveli
la nostra prima purezza che s’apre
su itinerarii segreti di cieli
intensi come il canto interiore
dello spirito quando è solo Amore…
Da dove le parole sgorgheranno,
quelle che cerco, quelle che diranno
il moto arcano, l’aurea tessitura
e della libertà e della norma
in cui gerrnina brulica e si forma
l’armonia d’oggi, l’armonia futura…
In che spirituale geometria
S’elabora s’accende e configura
la tua ragione — Amore —: fuoco e forma
di un numero ch’è luce: Poesia…
O magico alfabeto che detieni
in pochi segni i cardini e le chiavi
della potenza di linguaggi estremi:
epopee cupe, cantici soavi,
la dovizia dei tuoi suoni mi serra
nel cerchio di una grazia dove il fiore
dell’eloquenza di tutta la terra
è in uno sguardo che parla d’amore…
Dalla sorgente della tua dolcezza
— occhi e mani che parlano del cuore —
si propaga una musica ch’è il fiore
della mia stessa — trasognata — ebbrezza…
Di che struggente ardore
il dono brucia di ogni tua carezza
— sguardo e mani messaggeri del cuore —
se si ripete e dura in me l’ebbrezza
di una sorgiva musica d’amore…
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L’immagine di te — diversa e una —
accordo glorioso
di belle argille accese d’ansioso
respiro ove s’aduna
il fuoco e il fiore
d’ogni segreta ragione d’amore —
impressa e custodita nel mio petto
è paesaggio musica e parola
di tutte le bellezze e d’una sola:
cantico di un estatico Architetto.
L’ilarità di un azzurro argentino
traforato di trilli di fringuelli
ha il croscio del tuo riso nel giardino
terrestre dove al tuo passaggio svegli
i veli vegetali del mattino…
Ombra e luce tu sei: e luce fonda;
frutto diviso in due: di vita e morte
da cui dipendo e che mi fa più forte
o mi riduce a non esser che l’ombra
di te legata alla mia alterna sorte.
Io di te godo come di un paesaggio
nutrito d’aure di messi e dei succhi
dei primi bocci con raggi di frutti:
albori e miele d’aprile e di maggio.
Il fremito in te colgo e la fragranza
della natività d’ogni giornata:
fiamma goduta; luce consumata
di cui serbi l’ardore e la sostanza.
La tua crescita fulgida nel seno
delle stagioni somme: (primavera,
estate) — imprime un ritmo senza freno
a questa volontà di poesia
che mi solleva e situa nella sfera
della tua essenza ch’è pure la mia.
Quale sorgiva luminosità
svela il furtivo e tenero fruscio
delle prime erbei… E’ la fragrante età
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della tua guancia che se un po’ mi sfiora
in me risveglia il fremito di un dio
tutto velato d’aliti d’aurora…
Quest’alito ch’è tuo — tuo solamente —
magnetico germoglio
d’atmosfere di giornate argentee,
m’entra nel sangue, mi dice il rigoglio
della terrestrità tutta terrena
di cui sei fatta, ma entro cui trema
la gemmula, l’albore
d’una verginità di Rosa eterna:
e il tuo viso ne raffigura il fiore.
Sei sempre un’altra e sei sempre la stessa,
Ninfa argentata d’aurore boschive
ala di spuma in cui fulge e rivive
l’immagine di Venere, deessa
che si fa Donna e per sempre in noi vive.
O corpo d’oro
di cui l’anima fusa al paesaggio
della crescita dei giardini tutti
ne assorbe l’aura, polline e messaggio
d’albe di fiori e corimbi di frutti,
tu rigermogli dalla morte stessa
del mistero terrestre.., Ogni mattina
— come ringiovanita dalla ressa
di età solari — diventi bambina
disciogliendo i miei spiriti carnali
m volo d’inni ed in volontà d’ali.
Arde ragione e canta
questo innamoramento
di te, una, nel tempo
dall’eternità infranta.
Fuoco, linea, armonia
[nell’unicità pura
di Noi – Due, creatura,
raggio di poesia] —
nella notte del mito
e nell’alba del Verbo
consacrano infinito
il nostro essere infermo.
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Ragione della vita nel mistero
dei tuoi occhi che mi svelano il Vero:
frammenti d’una favola divina
Che — immutabile — muta ogni mattina
e nella quale, Amore, colgo il segno
della costellazione del tuo Regno.
Di te — chiunque tu sia — purché sia quella
di cui il modello nella mente ho impresso
l’aura rubo per chiudere in me stesso
il lampeggio d’una sembianza bella.
E diventi la magnetica perla
d’una stagione e di un’eternità,
regina dell’effimero, beltà
di voli ansiosa e che adora la terra.
Eva, sorgente di un alterno canto
che in me respiri terrestre ed alata,
emersa dall’incanto
di un’aurora che diventò giornata,
nel raggio d’ogni tua grazia ravviso,
un lampeggio del nostro paradiso.
La tua dolcezza da quale sorgente
sgorga e si fa eloquente
come un’aurora brulicante d’ali
sul velo degli spazi vegetali
di un giardino sempre nascente.
Vederti è gioia; e non muore:
è un raggio di Dio che mi resta
nell’anima, raggio di festa
di un’armonia ulteriore.
Tu soffio, tu forma, tu segno
di un dono: — fruttifero fiore —
qui, ora, sei come il disegno
di un’architettura d’amore.
Ed inserita ti sento
nella orchestrazione
del palpito del mio tempo
e di una eternale stagione:
immagine senza scadenza
di un’arcana potenza.
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Non torneranno ma indelebili sono
i momenti del tuo, del mio abbandono
in cui si contemplò quel che ci sfugge:
raggiera di una gioia illimitata
nella geometria di una giornata,
nei guizzi di un tramonto, nel tremore
dei più cari paesaggi dove ogni durata
è alito di mari d’alberi e di flore…
Non tornano ma in noi restano incisi
i momenti d’abbandono e di fiamma
che resero raggianti i nostri visi
nel tremito dell’armonia dell’anima.
Arde il fiore di te nell’atmosfera
dei giardini terrestri dove il coro
delle orchestre del sole — argento e oro —
si confonde con la tua primavera.
Fari un raggio dell’asse della sfera
nel suo circuito segreto e sonoro
che in me entra ed echeggia in ogni poro
essenza e fuoco della terra intera.
Promessa di una gioia custodita
nel palpito e nel ritmo dell’attesa
gemma e figura di un’arcana vita,
in me alimenti un’ansia ch’era accesa
e inconsapevolmente mi conduci
alla sorgente delle somme luci.
Più t’allontani e più mi sei vicina
bruciante e fresca come fuoco e brina,
aurora di un roseto che si sfoglia
ma che in me più potente rigermoglia
come per ricordarmi l’armonia
di un’età senza giorni — o Creatura —
che rispecchi l’immagine futura
di un’immortalità ch’è Poesia.
Perché duri e s’eterni la fuggevole
grazia del nostro incontro nei viali
di giardini gremiti di mortali
rose emanate dall’aura di Venere,
risalgo al soffio da cui si dirama
— [architettura perfetta
dalla radice alla vetta] —
l’Albero umano col dono dell’Anima.
BIBLIOGRAFIA:
Girolamo Comi – Opera Omnia, a cura di Donato Valli – Longo Editore